Prime conclusioni – Dove stanno andando i nostri atenei?

Pubblichiamo le conclusioni dell’assemblea del 1 dicembre a Bologna, curate dai compagni della campagna Noi Restiamo.

Che questo momento sia il primo di un percorso di convergenze di lotte ed analisi!

Venerdì 1 dicembre si è tenuta a Bologna una prima assemblea studentesca da noi promossa nella convinzione che all’importante ruolo giocato dall’Alta Formazione nella ristrutturazione del capitalismo continentale non si possa rispondere lasciando questo campo sguarnito dalla presa di parola delle forze anticapitaliste. Lo abbiamo fatto cercando di rispettare un metodo rigoroso, condividendo analisi concrete e letture approfondite delle linee di tendenza che stiamo riscontrando a partire dallo specifico degli atenei in cui tanti dei nostri compagni studiano e operano, nelle città di Bologna, Torino, Siena, Urbino, Roma e della Sardegna. Uno spaccato nazionale non esaustivo, ma certamente interessante per giungere ad alcune prime conclusioni generali, coscienti che i tratti in comune riscontrati nelle tante relazioni che si sono susseguite non siano figli del caso, ma rappresentino piuttosto il precipitato di una politica nazionale e internazionale ben definita secondo la quale si stanno indirizzando gli sviluppi del sistema formativo. Questo ci porta a individuare la necessità di costruire un ulteriore passaggio assembleare nei prossimi mesi, in cui invertire l’ordine delle priorità, ovvero in cui affrontare i nodi politici generali affrontandoli tematicamente. Nel frattempo non stiamo con le mani in mano: molto presto renderemo disponibili i testi degli interventi susseguitisi in questa prima assemblea, e ci lasciamo con questi quattro propositi immediati: Continua a leggere

Dove Va l’UniSi? – riflessioni sull’università d’elite: analisi di una tendenza

Venerdì 1 Dicembre abbiamo partecipato alla bella assemblea chiamata da Noi Restiamo di cui avevamo già parlato.

Per noi è sempre stato centrale un discorso sull’università, che diventa per forza di cose anche un’analisi sulla città. Di seguito il testo completo del nostro contributo.

La storia universitaria della città di Siena è lunga e complessa e non può essere riassunta in un documento di poche pagine, ma è necessario fissare alcuni punti cardine. È chiaro che dagli anni novanta in poi la trasformazione dell’istituzione universitaria è stata centrale nello scenario cittadino e che città e università non possano esser viste come dimensioni separate. Dobbiamo quindi fare una piccola premessa, partendo proprio dalla città in sé. Siena è sempre stata uno dei centri più ricchi della Toscana, ma con delle radicali differenze rispetto al resto della regione: a Siena non c’è un tessuto produttivo paragonabile alle altre città, qui non troviamo il tessuto industriale che caratterizza altri centri regionali, non c’è il porto di Livorno, né le grandi fabbriche di Prato e Empoli o le più specializzate di Arezzo, è inoltre decisamente molto più piccola di Pisa o Firenze anche per il numero degli studenti fuori sede presenti; la ricchezza di Siena è stata ancorata alle sue tre maggiori istituzioni: il Monte dei Paschi, la fondazione MPS e l’Università degli Studi. Queste sono sempre state governate tramite meccanismi di egemonia dal PD e dai suoi predecessori, in particolare la fondazione è sempre stata centrale nel gioco: era suo il compito, foraggiata dal Monte, di redistribuire ricchezza sul territorio sotto forma di finanziamenti e infrastrutture. Siena è dunque piccola città con un ateneo di media grandezza che presenta notevoli complessità dovute a questo circolo “virtuoso” che si è imposto tra le sue istituzioni e la sua classe dirigente. L’università in questo quadro ha rappresentato una delle maggiori possibilità di arricchimento da parte della borghesia cittadina, possibilità che si è voluto trasformare in realtà tramite precise scelte politiche. Continua a leggere

Braccia o persone? Categorie neoimperialiste del discorso sui migranti – pt. 1

La loro lotta per la vita è anche la nostra!

La marcia dei migranti da Cona, dove si trovavano in un centro di accoglienza in condizioni di estrema precarietà, a Venezia.

La migrazione di donne e uomini verso l’Italia è un fenomeno relativamente recente, se si pensa ad altri contesti come la Francia o la Germania; per un lungo periodo l’Italia non è nemmeno stata dotata di una legislazione chiara in materia, e quando finalmente ha deciso di prendere l’iniziativa i risultati sono stati nella buona parte dei casi peggiorativi delle condizioni dei migranti. La retorica che ha sempre tenuto il campo, nel dibattito pubblico e nella politica italiana, è sempre stata in questo senso pregna di un ragionamento utilitaristico, che nulla ha a che fare con le reali necessità del primo attore coinvolto nel processo migratorio: il migrante stesso, che esiste solo come soggetto muto nel piano legislativo italiano.

Ad oggi questa rappresentazione tutta culturale e pregiudiziale è centrale sia nel discorso sfrontatamente razzista della destra salviniana, sia nel pietismo liberale di una certa “sinistra” politica che non ha intenzione di cedere nulla della sua posizione di dominatore occidentale. Il ragionamento appiattito su un mero dato tecnico porta a negare ogni tipo di agentività politica ai migranti, che dal canto loro subiscono questi processi di vera e propria acculturazione forzata e di razzismo in una posizione svantaggiata nei rapporti di forza. In pochi purtroppo in Italia si sono scomodati per coinvolgere i migranti in processi politici reali che li interessavano, questi spesso purtroppo sono ridotti ad un soggetto senza voce. Continua a leggere

Atenei di classe made in Bruxelles – verso l’assemblea del 1 dic a Bologna

Dai nostri primi momenti fondativi come Collettivo Politico Porco Rosso ci siamo subito posti il tema di cosa stesse diventando l’Università. Dell’agibilità politica degli atenei italiani da parte delle istanze studentesche è rimasto ben poco a fronte di quello che, a nostro avviso, è stato un forte restringimento degli spazi democratici; mentre i resti di quel sano confronto con le altre componenti accademiche sono stati sacrificati sull’altare della nuova logica aziendale. Ci siamo interrogati anche sulle ricadute sociali di questo nuovo sistema, con le conseguenze che vediamo in tutte le nostre città, fatte di esclusione dei gruppi più svantaggiati come, appunto, diventano gli studenti fuori sede. Ci siamo fatti due domande su da dove venissero le spinte verso la riduzione delle università a fabbriche di cervelli caldi e pronti per il mercato del lavoro neoliberista. 

Per questo abbiamo accettato con entusiasmo l’invito da parte dei compagni di Noi Restiamo a partecipare all’assemblea del 1 dicembre.  Di seguito troverete un’estratto del nostro contributo e l’appello della giornata.

Ci vediamo al 22 di via Zamboni – aula 3 – ore 16! Qui il link dell’evento Facebook.

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Il primate nazionale e l’indignazione liberale

Bene, il dato è oggettivo: l’amichetto di CasaPound ad Ostia ha picchiato un giornalista senza motivo. Il “primate nazionale” in bomber ha spaccato la faccia con una testata del malcapitato che chiedeva solo la sua opinione sui fascisti del terzo millennio. Non mettiamo in dubbio che sia giusto indignarsi, che sia sacrosanto chiedere giustizia; presto però finirà l’ondata di legalitarismo liberale, surclassata da un’altra notizia che i media mainstream rilanceranno in modo martellante per qualche giorno. Passeranno a un’altra notizia, e poi a un’altra e così via; il paese intero, dopo la finta e velleitaria “catarsi antifascista”, potrà tornare a ignorare il problema reale che fa invece tanto comodo al modello messo in piedi nell’UE: i fascisti. Continua a leggere

Il 4 novembre, i Parà e la Somalia nel ’93

Oggi, 4 novembre, si festeggia la vittoria (?) dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Al di là della retorica post-risorgimentale che ha sempre ammantato la narrazione della Grande Guerra, la ricorrenza è meglio nota come “giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate”.

Tale giornata, insieme a quella del 2 giugno in cui vengono fatti sfilare tutti i rambos dell’EI, ha lo scopo di restituire un’immagine edulcorata ed eroica, nonché virile e orgogliosa dei militari, che in un’Italia così profondamente militarizzata come quella attuale contribuisce al processo di metabolizzazione delle divise che vediamo ogni giorno nelle nostre strade e nelle nostre piazze.

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Dall’età del livellamento, dall’età della solitudine… tanti saluti!

DA DOVE VIENE LA REPRESSIONE, DOVE CI PORTANO I DECRETI MINNITI

Il 12 aprile il Parlamento ha definitivamente convertito in legge i due decreti, approvati dal Consiglio dei Ministri lo scorso 10 febbraio, che portano la firma del nuovo ministro dell’Interno Marco Minniti (e nel caso del provvedimento dei migranti, anche quella del ministro della Giustizia Andrea Orlando, opposizione «di sinistra» a Renzi all’interno del Partito Democratico). Dopo l’esperienza del referendum costituzionale che il 4 dicembre ha bloccato momentaneamente i piani controriformatori e reazionari dell’élite italiana ed europea riguardo la Carta Costituzionale, le minacce riguardanti l’instabilità e la mancanza di alternativa si sono rivelate per quello che erano: minacce, finalizzate a incutere paura e incertezza tra gli elettori, mentre il ceto dirigente italiano preparava il suo piano di riserva. L’alternativa veniva paventata come inesistente, e in un certo senso hanno trasformato questo mantra ideologico in realtà con il governo Gentiloni, fotocopia, per composizione e linee politiche, del governo Renzi contro cui il voto referendario si era espresso con nettezza.

L’esecutivo nato il 12 dicembre scorso si è trovato a capo del paese in una fase fondamentale per l’evoluzione del quadro politico internazionale, proprio nei mesi in cui negli Stati Uniti assumeva il ruolo di Presidente Donald Trump e i principali paesi dell’Unione Europea si trovavano ad affrontare la sfida delle competizioni elettorali (Francia, Olanda, a settembre la Germania, nonché la Gran Bretagna post-Brexit a giugno); tutto questo nello stesso periodo in cui, proprio in Italia, si andavano delineando all’orizzonte fondamentali appuntamenti internazionali come il summit europeo del 25 marzo a Roma per i sessant’anni dalla nascita della Comunità Economica Europea e il G7 a Taormina. In questo panorama in cui si vanno ridefinendo aree di influenza economica e politica a livello globale, in questa fase dirimente per il processo di costruzione e rafforzamento dell’Unione Europea come polo autonomo e competitivo nell’arena della globalizzazione, il governo Gentiloni non poteva essere il governo della transizione che, seppur nelle dinamiche elettorali, riaffida il proprio mandato al popolo attraverso nuove elezioni; invece doveva essere il governo che, nella confusione degli scopi e degli obiettivi della fine della legislatura, nell’apertura di spazi di lotta e di ricomposizione sociale delle fasce più ricattate che la caduta del governo Renzi avrebbe portato, doveva garantire la riuscita di importanti appuntamenti istituzionali senza fastidi, interruzioni e contestazioni, nonché limitare al massimo il moltiplicarsi del dissenso e di quelle sacche di resistenti che continuano a combattere contro le politiche di austerità, la cancellazione dei diritti dei lavoratori e la destrutturazione del welfare state; bisognava incutere timore, criminalizzare, frammentare e reprimere, nella più classica tradizione del divide et impera per salvaguardare il processo di affermazione dell’UE nei giochi degli imperialismi mondiali. La persona a cui era stato affidato il compito di realizzare questa linea strategica è stato proprio Minniti, già legato agli ambienti della Difesa e dei Servizi Segreti.

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A volte ritornano

Il 12 ottobre l’ex ministra dell’Austerity è stata ospite dell’Università degli Studi di Siena, in occasione di una pantomima organizzata dal dipartimento di scienze politiche internazionali, in cui si è parlato di alfabetizzazione finanziaria. Al di là dell’inconsistenza e vacuità dell’evento in questione, una figura come quella incarnata da Elsa Fornero, rappresenta quanto di più tossico ci sia in giro per l’Europa: le politiche “lacrime e sangue” ultraliberiste arrivate in un pacchetto da Bruxelles. Continua a leggere

Barcellona 1 – O Cronistoria di una lotta per la libertà

 

L’opportunità di andare a Barcellona durante il periodo del referendum è stata una di quelle che ti capitano per caso, come quando una qualche congiunzione astrale fa coincidere una serie di fatti e persone. E soprattutto i prezzi dei biglietti aerei.

Con il comitadu sardu pro su referendum de sa Catalunya abbiamo aperto un processo di solidarietà iniziato quest’estate, organizzando incontri con figure istituzionali, controinformazione e sit-in. Poi, circa un mese fa, si è presentata l’occasione, per alcuni di noi, di essere là, assistere al passaggio dello “Spirito del mondo a cavallo”.

Siamo partiti in quattro, due dalla Sardegna e due dal Continente. Ovviamente il sottoscritto è partito dal “di qua del Tirreno”, da Pisa, il sabato pomeriggio. Continua a leggere

Siena tra Università di classe e Città vetrina

Negli ultimi anni abbiamo visto cambiare Siena sotto i nostri occhi. Di questo processo di mutazione non possiamo non cogliere alcune fondamentali contraddizioni: esistono dei processi in atto che devono essere analizzati al di là del discorso semplificatorio che sempre più spesso ci viene consegnato come unico punto di vista valido dai giornali e dalle istituzioni cittadine stesse.

Dal nostro punto di vista di giovani, di quella generazione che non si vuole arrendere al precariato e alle imposizioni della nostra epoca, abbiamo notato due preoccupanti fenomeni chiara espressione di una unica e precisa volontà politica: mentre da una parte si vuole rendere l’università un luogo d’elite asettico ed alienato dal tessuto urbano reale, dall’altra si tenta di trasformare il centro cittadino in un luogo-vetrina a uso e consumo del turismo giornaliero e stagionale, togliendo spazio a quelle forze vitali che rendono la città vivibile e accogliente.

Dove qualcuno parla di degrado noi vogliamo parlare di inclusione, dove qualcuno vuole trasformare l’università in un luogo per pochi noi rispondiamo con la nostra elaborazione dal basso e con il diffondere quella cultura critica e antagonista che ci appartiene.

Dobbiamo però notare come queste tendenze non siano solo senesi, ma abbiano bisogno di essere messe a sistema con quanto accade in molte altre città italiane. Continua a leggere