Barcellona 1 – O Cronistoria di una lotta per la libertà

 

L’opportunità di andare a Barcellona durante il periodo del referendum è stata una di quelle che ti capitano per caso, come quando una qualche congiunzione astrale fa coincidere una serie di fatti e persone. E soprattutto i prezzi dei biglietti aerei.

Con il comitadu sardu pro su referendum de sa Catalunya abbiamo aperto un processo di solidarietà iniziato quest’estate, organizzando incontri con figure istituzionali, controinformazione e sit-in. Poi, circa un mese fa, si è presentata l’occasione, per alcuni di noi, di essere là, assistere al passaggio dello “Spirito del mondo a cavallo”.

Siamo partiti in quattro, due dalla Sardegna e due dal Continente. Ovviamente il sottoscritto è partito dal “di qua del Tirreno”, da Pisa, il sabato pomeriggio.

Scesi dal bus che da Girona ci ha portati a Barcellona, ci muoviamo verso il centro, in attesa di rintracciare gli altri due del comitadu che dalla Sardegna erano arrivati la sera prima dopo aver già incontrato tutti gli altri delegati sardi dei vari partiti, arrivati in massa.

La situazione comincia a prendere una forma definita, sento già le viscere prudere, come quando da ragazzino ti innamori della tua compagna di classe. Mi trovo qui – insieme a patrioti e compagni sardi con cui ho già attraversato lotte ed esperienze – a Barcellona, il teatro più grande di un paese pronto ad ospitare la pièce del secolo, che verrà rappresentata simultaneamente in tutta la Catalogna.

Da subito mi colpisce l’incredibile quantità di Estelada appese alle finestre dei palazzi, una visione incredibile che dà subito l’idea di come la questione catalana vada ben oltre la semplice consultazione, che sia ben più profonda e radicata, nonché dunque profondamente popolare e diffusa. Questo è solo il primo dei segnali che mi arriveranno in questo senso, sempre più grandi e intensi, in un climax di coinvolgimento emotivo.

Rintracciamo gli altri compagni sardi: ci diamo appuntamento alla Benvinguda Internacionalista organizzata dalla CUP, dove si tiene l’assemblea di benvenuto riservata agli internazionalisti solidali con il processo d’indipendenza.

L’assemblea è spaventosamente partecipata, pienissima, rigonfia di odori e di emozioni che si trasmettono e rimbalzano l’un l’altro, come se fossimo tanti snodi di un circuito. Rimango qualche minuto a guardarmi intorno prima di accorgermi che nel frattempo dal palco si susseguono gli interventi dei delegati, provenienti da tutte le parti della penisola iberica (galiziani, baschi, andalusi, valenziani e dalle isole catalane) e oltre, come i nostri dalla Sardegna e quelli italiani. L’assemblea si chiude con l’intervento del delegato della CUP e con una canzone popolare catalana, che non sono riuscito a riconoscere. In quel momento sono ancora confuso, ho difficoltà a capire quello che mi succede intorno. Mi sento inebriato dalla situazione, ma allo stesso tempo completamente lucido e inizio a capire l’entità del processo. Ancora una volta, mi rendo conto che il referendum, per le compagne e i compagni catalani, vuole essere solo un grimaldello per forzare una vecchia serratura ormai arrugginita, che potrebbe tranquillamente cedere se si decidesse di colpirla col martello della volontà popolare che si percepisce per le strade.

Infatti intorno alle 22 parte la tipica “cacerolada” dalle finestre. Un chiasso che sormonta quello del traffico della città, avvolgendo ogni piazza e ogni via in un suono che diventa un unico slogan senza parole cantato in coro, fatto solo di mestoli che percuotono pentole. Tutto ciò va avanti per una ventina di minuti, mentre io continuo a non capacitarmi di quanto vedo, sento, percepisco. Finita la cacerolada, mi risveglio dal torpore e ci muoviamo verso il seggio-scuola in cui i due compagni avevano dormito la notte precedente, nel barrio di Guinardò; l’Escola de Pit-Roig.

00.00 Eccoci a Pit-Roig. Ci accoglie il compagno che ha messo a disposizione casa sua per poterci garantire un punto d’appoggio e non si disturba troppo in convenevoli per accogliere me e l’altro compagno appena arrivati dalla Terra dei Cachi. L’Ambiente è informale e infatti una compagna si premura subito di trovarci un posto dove posare i bagagli e metterci a nostro agio. Dentro la scuola – molto piccola, è una piccola scuola elementare di una zona residenziale – troviamo gente di tutte le età: i genitori delle alunne e alunni, che si sono organizzati in due collettivi, quello dei padri e quello delle madri, per gestire l’occupazione iniziata venerdì, insieme ai ragazzi che sono stati alunne e alunni della stessa scuola e i compagni e le compagne dei collettivi di quartiere, realtà politiche autorganizzate sviluppatesi successivamente la mobilitazione del 15-M. Notiamo che, come in ogni occupazione che si rispetti, è stato organizzato un programma di “contro-didattica” per intrattenere i bambini ma anche per responsabilizzare i genitori e gli ex alunni rispetto allo spazio in sé.

02.30 La serata procede in maniera molto distesa e rilassata, tra chiacchiere e risate, musica e birra interrotto ogni tanto solo dal collegamento radio col movimento, utile a ricevere notizie riguardo le strategie dei Mossos d’Esquadra (la polizia catalana) il cui arrivo è previsto per le quattro di notte. Il punto è che loro vengono con l’intenzione formale di far sgomberare le scuole, in una singola pattuglia, chiedendo “chi è il responsabile qui” affinché gli venga intimato l’ordine di sgombero e, sentendosi rispondere “tutti”, non insistono più di tanto e se ne vanno dopo qualche minuto passato a tergiversare. O almeno così avevano fatto la sera prima. Ma le probabilità che accada anche stavolta sono buone. Intanto apprendiamo che la Guardia Civil e la Policia sono già schierate davanti al porto, militarizzato per l’occasione.

04.00 Passa la pattuglia dei Mossos davanti la scuola, rallenta e poi si parcheggia più avanti. Nessuno si disturba a scendere dalla macchina e avvicinarsi. Nel frattempo gli altri tre compagni del comitadu vanno a riposarsi, io mi ritrovo con un compagno del collettivo del quartiere, che parla l’italiano per via del suo periodo di studio a Torino. Mi racconta di come queste realtà politiche siano riuscite ad entrare perfettamente in amalgama con il quartiere, vocate all’autogestione e, attraverso la CUP, mettersi in rete con altri collettivi, sindacati e realtà sociali di Barcellona e del resto della Catalogna in un’ottica indipendentista e anticapitalista (e anti-UE). E soprattutto mi racconta di come l’indipendentismo “progressista”, quello di Sinistra per intenderci, sia riuscito ad intercettare nel migliore dei modi la Grande Recessione spingendo l’opinione pubblica sempre più verso l’ indipendenza, alla rottura con lo Stato, lo stesso Stato che ha negato la loro identità di popolo e nazione e che ora ti condanna alla povertà, imponendo le direttive di quegli avvoltoi che stanno a Bruxelles. E non solo, ha imposto alla destra catalanista di non ripresentare come presidente colui che nel mandato precedente le veline di Bruxelles le aveva recepite senza troppi indugi, oltre al fatto che fosse un corrotto.

05.00 Mentre io e questo compagno entriamo in confidenza al punto che cerchiamo di parlare nelle nostre lingue, il sardo e il catalano (capendoci perfettamente l’un l’altro), ci avviciniamo alle altre compagne e compagni di cui percepisco qualche discorso che fanno, in un catalano stretto difficile da comprendere. Mi rendo conto che parlano di machismo, di mascolinità tossica e sessismo; sono delle ragazze, insieme ad una compagna del collettivo e quello che penso sia uno del collettivo dei padri. Rimango sorpreso da questo “dibattito”, anche perché pare essere un tema già abbondantemente “masticato” dal gruppo, con cui tutti i presenti sembrano avere una certa confidenza. Sarà perché qualche isolato più giù c’è un centro sociale di compagne femministe? Non lo so, non sono riuscito a capire quali siano i legami precisi dei collettivi con i quartieri, però si sentono.

Intanto il piazzale della scuola comincia a riempirsi di gente. Si svegliano quelli che hanno dormito qualche ora, arriva chi invece era rimasto a casa, ognuno portando qualcosa per sfamare gli occupanti, ma non rinuncia a difendere il seggio, perché alle sette è previsto l’arrivo delle forze dell’ordine e ancora non si sa se verranno i Mossos, e quindi sarà gestibile, o se verrà direttamente la giustizia spagnola. E in quest’ultima eventualità bisogna essere in tanti. E infatti lo siamo.

07.30 Arrivano i Mossos, sempre in due e ripetono la medesima pantomima. Stavolta però non se ne vanno, rimangono davanti al nostro seggio.

08.08 Ecco l’urna. Arriva a bordo di un’auto, che si ferma in mezzo alla folla di Pit-Roig e due persone scendono e scaricano la reliquia contenuta dentro un sacco nero.

Ancora non ho capito dove fossero custodite le urne con le schede per ogni singolo seggio, mi pare che si fosse premunito qualcuno di proteggerla e poi darla a delle persone fidate con il compito di recapitarla a destinazione. Tutto questo in modo molto carbonaro, infatti pochissime persone erano a conoscenza del luogo in cui fosse custodita.

La folla ammutolisce. Aspettano di vedere l’urna entrare dentro il seggio per esplodere festante in un “Votarem!” collettivo, lo slogan di questi ultimi giorni caratterizzati dalla dura repressione spagnola. Mi guardo intorno, non posso fare a meno di notare le facce dei presenti: tutti con un luccichio di speranza negli occhi, ansiosi di poter compiere questo passo storico e che molti di loro aspettano da sempre, ma visibilmente preoccupati, spaventati dal terrorismo di Stato. Non si sa ancora cosa aspettarsi dalle forze di polizia, ma nessuno è ottimista. Gli elicotteri ci ronzano sopra le nostre teste dall’alba e pronti ad avanzare verso il centro della città ci sono più di 12mila celerini e teste di cuoio.

09.00 Si comincia, la prima scheda calata nell’urna viene salutata da un applauso scrosciante. L’entusiasmo prende il sopravvento, l’aria che si respira è foriera di speranza nonostante per questa giornata non ci sia stato regalato un cielo azzurro.

09.45 Arrivano notizie dagli altri seggi, in particolare da quello di Girona, dove avrebbe dovuto votare Puidgemont, letteralmente distrutto dalla rabbia poliziesca. I celerini avanzano anche dentro Barcellona, pare già con qualche scontro. Intanto il seggio è sempre più stracolmo di persone, soprattutto anziani e famiglie con bambini al seguito.

Io e un altro compagno, che abbiamo passato la notte insonne, decidiamo di andare a riposarci un attimo in vista delle 14, che pare possa essere l’ora in cui raggiungeranno anche il nostro seggio.

10.30 Giusto il tempo di posare la testa sul cuscino che ci arriva una telefonata: La polizia sta arrivando in questo momento, si trova nei seggi limitrofi. Accorriamo il più velocemente possibile, ancora rintronati e frustrati dall’aver potuto solo assaggiare il sapore del letto.  Apprendiamo dei primi sequestri delle urne da parte delle forze spagnole, i gruppi whatsapp di raccordo iniziano a riempirsi di video e immagini terribili, la gente fuori dal seggio comincia a preoccuparsi ma, nonostante quanto stia accadendo sarebbe utile ad una persona comune per convincersi a rintanarsi in casa, nessuno si muove di un passo. Parte un altro coro di “Votarem”. Nessuno vuole rinunciare alla democrazia, ormai siamo più di 300 persone in questo piccolo seggio e nessuno vuole andarsene finché non avrà votato. Nel frattempo i compagni del comitat de defensa invitano la folla a non reagire alle violenze della polizia, opporre semplice resistenza passiva. Siamo tutti pronti.

11.00 I momenti si fanno concitati, sempre più persone arrivano al nostro seggio e sempre peggiori sono le notizie che ci arrivano dagli altri seggi. Monta la paura, la Policia è addirittura entrata negli uffici della Generalitat e si è schierata davanti alle abitazioni dei membri dell’esecutivo, gli atti intimidatori si moltiplicano, nonché le terribili violenze. Il seggio del Mercat de Guinardò, a 800 metri da noi, viene distrutto dalla Guardia Civil. Ci arrivano le prime immagini e vediamo la violenza della polizia intenta a lanciare via le persone assiepate intorno al seggio che tentano di difenderlo. Si vedono le prime teste rotte.

In tutto ciò ha cominciato a piovere.

Il nostro seggio ormai è pieno di famiglie e povero di militanti, siamo in pochi in questo momento e chiamare a raccolta gli altri è un po’ difficile. Non siamo in grado di difendere il seggio e le compagne e i compagni lo sanno, preferiscono invitare le persone a non opporre resistenza, se non se la sentono, e gli anziani e le famiglie con bambini ad abbandonare Pit-Roig. Arrivano le notizie dei primi bilanci dei feriti, siamo quasi sulle centinaia. Monta la paura ma incredibilmente, all’invito di desistere lanciato da un compagno al megafono, una signora ultra settantenne risponde che non se ne andrà finché non avrà votato.

11.45 Niente, la polizia non si presenta. Dopo aver distrutto i due seggi più vicini, hanno preferito non arrivare su da noi. Forse perché è un seggio molto piccolo, forse perché stiamo nella parte alta di Barcellona ed un’unica via garantisce l’accesso alla scuola, sulla quale tranquillamente possono essere allestite delle barricate. Decidiamo allora di andare nei seggi vicini per vedere la situazione e, magari, portare nel nostro la gente che avrebbe dovuto votare in quelli ormai distrutti, poiché non vi è alcun vincolo territoriale in cui poter esprimere il proprio voto.

12.30 Verso l’ora di pranzo nel nostro barrio la situazione torna tranquilla. Possiamo andare a mangiare un boccone e riposarci un paio d’ore.

16.45 Dopo esserci rifocillati, il nostro ospite ci chiede di andare con lui nei seggi vicini ancora attivi per valutare la situazione, visto che comunque dalle nostre parti procede tutto per il meglio. Arriviamo al primo seggio, presidiato da alcuni pompieri che oggi si sono dimostrati essere dei veri eroi, prendendosi le manganellate delle forze di occupazione per difendere la democrazia. Pertanto qui le centinaia di persone assiepate fuori dalla scuola sono al sicuro. Ci spostiamo in un altro seggio vicino, anche questo abbastanza difeso oltre che dai compagni anche da una cancellata bella alta che sicuramente scoraggerebbe chiunque dal provare a scavalcarla. Anche in questo seggio, una scuola media, molti anziani che aspettano di poter votare, nonché tanti ragazzi in fila. Una novantenne in carrozzina visibilmente commossa esce dal seggio e incrocia il nostro cammino che noi salutiamo con un applauso. Incuriosita dalla nostra parlata, ci chiede la nostra provenienza e, appreso che arriviamo dalla Sardegna, ci augura di poter vivere quanto lei sta vivendo ora per la sua terra. Non poteva regalarci congedo migliore, mentre se ne va accompagnata da sua nipote.

18.15 Arriviamo in Carrer de Sardenya, in un seggio rimediato da una clinica di igiene mentale. Anche qui troviamo molta gente, e c’è chi ci racconta di quando la polizia è arrivata anche qui. O meglio, non è riuscita ad arrivare. Pare che siano stati usati degli autobus turistici per barricare le strade da cui stavano arrivando i celerini che, una volta trovato il muro davanti hanno preferito desistere piuttosto che tentare goffamente di aggirarle. Nessuno è stato indotto a fare nulla, è stata una manovra spontanea ci dicono. E’ stato puro ingegno e prontezza di riflessi, oltre che una buonissima dose di coscienza nazionale e soprattutto spirito di sopravvivenza. Due autobus che in quel momento stavano passando di lì sono stati fermati e gli è stato chiesto di prestarsi a questo gioco. Ovviamente gli autisti non se lo sono fatti ripetere due volte, fieri di poter portare un contributo così importante alla causa democratica.

Saremmo rimasti ancora a recepire maggiori informazioni riguardo questo bellissimo aneddoto, ma abbiamo ancora da vedere qualche seggio del quartiere di Gràcia – il barrio più “rosso e giallo” di Barcellona dove convivono moltissimi Casal popular de Barris, dei luoghi autogestiti dagli abitanti del quartiere – e poi tornare a Pit-Roig onde evitare che la polizia possa arrivare a giornata finita per fare un bel bottino di voti e trovare il seggio sguarnito.

19.00 Ormai manca solo un’ora alla chiusura dei seggi, ma il popolo di Gràcia ha preferito rimanere nelle strade piuttosto che lasciare da soli gli ultimi che ancora devono votare. Arrivati all’istituto tecnico del quartiere, troviamo una marea di gente, tutti festanti seduti in terra che cantano, ridono, scherzano; persino dei bambini che si divertono a disegnare sull’asfalto con i gessetti. Il clima è indescrivibile, si riesce a percepire la potenza emotiva delle migliaia di persone, tutti che guardano verso la porta del seggio aspettando che diano l’avviso della chiusura, così si potrà finalmente aspettare il momento fatidico del conteggio. Ecco che esce il delegato del seggio, ad avvisare che verranno fatte votare le ultime persone. Un religioso silenzio cala improvvisamente sulla folla, affinché possano sentire tutti. Finito l’intervento, esplode il consueto grido di libertà, a sfogare le ultime tensioni della giornata a suon di “Votarem”, per cancellare dalla mente quei 500 feriti attualmente accreditati, frutto della brutalità franchista dello stato spagnolo.

Ci chiamano da Pit-Roig, stanno chiudendo il seggio anticipatamente per evitare che la polizia arrivi sul più bello, ormai ci dicono che hanno votato più di mille persone. Sono sufficienti.

20.00 Comincia il conteggio delle schede, mentre da altre parti si continua a votare. In realtà, ci dicono, buona parte delle schede sono già state contate e messe in sicurezza, sostituendo le urne con delle urne in cui sono presenti delle schede vuote, così che se la polizia dovesse arrivare si porterà via quelle fasulle.

Ecco che torna il compagno deputato a comunicare con la folla: non riesco a capire cosa stia dicendo e ho perso di vista quelli che potrebbero tradurre qualche parola, ma dopotutto non importa. Anche perché ora che è finita – qui nel migliore dei modi nonostante il bilancio dei feriti sia arrivato a più di 700 e i seggi sequestrati in tutta la Catalogna sono stati più di 380, per un totale approssimativamente di 700mila voti invalidati – è ora di sfogarsi. Parte il coro “Hem votat!”, abbiamo votato, a ribadire che la questione centrale di questo referendum, osteggiato, criminalizzato e violentato dallo stato spagnolo, fosse la libertà di decidere della propria sorte, riprendere in mano lo strumento democratico più banale come quello del voto e tornare a dargli una concretezza. Anche perché questa giornata, in cui la Spagna ha dimostrato di essere ancora uno stato fascista e franchista, ci ha confermato che se il voto contasse qualcosa non ce lo lascerebbero fare, come diceva Mark Twain.

22.30 In Placa Catalunya ci aspetta la festa grande. Centinaia di migliaia di persone occupano la piazza, catalani festanti con le loro bandiere nazionali ma anche còrsi, scozzesi, baschi, irlandesi, bretoni, galiziani e ovviamente noi sardi. Persino uno che, con una bandierina in cima ad una canna da pesca e un cartello con su scritto “Azzorre libere” rivendica l’indipendenza dell’arcipelago occupato dallo stato portoghese. Tutti insieme aspettiamo che la tv catalana passi al megaschermo i risultati ufficiali della consultazione, che arriva dopo poco: 90% di SI. A prescindere dai vari ragionamenti che si possono fare, che ora non interessano a nessuno, quasi 3 milioni di persone sono andate a votare, contando anche i voti sequestrati. La Catalogna vuole essere un nuovo Paese, perché così è stato deciso a furor di popolo. Hola nou Paìs.