Afrin e noi – Appunti sulle complicità dell’Occidente e sul nostro ruolo

Di fronte alla barbarie dello stato turco e dei suoi alleati nei confronti della città curdo siriana di Afrin, sentiamo il bisogno di proporre in essere un ragionamento collettivo che vuole essere complesso. Nelle prossime righe cerchiamo di analizzare la situazione del Medio Oriente, che ci prendiamo la libertà di guardare con il filtro privilegiato creato dalla nostra solidarietà con il movimento di liberazione curdo.

La lotta per l’autodeterminazione popolare in un sistema comunalista dal basso grazie all’organizzazione dell’Autonomia Democratica ci ha ispirato, affascinato, coinvolto lungo tutto il nostro percorso di militanza. Siamo d’altra parte convinti che un adesione cieca ad un sistema che trova la sua ragion d’essere in una determinata collocazione storica sia, da parte di noi occidentali, una presa di posizione banalmente velleitaria, che ci porterebbe a dimenticare il nostro stesso contesto, come purtroppo già è stato fatto per molte volte nella storia dei nostri movimenti. Crediamo che il modo più fecondo di imparare da queste esperienze genuinamente rivoluzionarie e progressiste sia applicare un metodo d’analisi coerente alla teoria e alla pratica della rivoluzione kurda, per poter isolare gli elementi innovativi che possono essere mutuati, importati, tradotti nelle nostre proprie teorie e pratiche. Ad esempio: la critica allo stato-nazione sistematizzata da Ocalan nel nostro orizzonte si traspone in un’analisi già diversa, necessariamente multilivello, per il concorrere di meccanismi di potere di origine differente; non riguarda solo l’imperialismo di stati “puri” come, la Turchia o l’Iran, ma si articola anche a livello europeo, dove una certa retorica pro UE sta tentando di cementare un pericolosissimo sentimento nazionalista europeo dentro un orizzonte offuscato da crescenti contraddizioni inter-imperiali con USA e Russia. Allo stesso tempo la stessa critica ci rivela qualcosa anche sulle idee di Stato e democrazia così come le abbiamo ereditate dal Novecento, e sulle vaste e profonde contraddizioni della nostra, di democrazia, in cui grandi temi come la questione meridionale, la questione sarda, o più in generale la questione della partecipazione popolare alla vita civile e politica in ogni sfera e ambito non possono più essere rimandate. L’elaborazione di Ocalan sull’autonomia ed il confederalismo ci invitano a cercare e battere nuove vie, per riconfermare e realizzare l’ideale di libertà come autodeterminazione.

Il respiro universalista del Confederalismo Democratico contribuisce a spiegare l’inaudita violenza della repressione turca e la neutralità ostile degli altri attori in campo. Pur rifiutando esplicitamente il separatismo come soluzione alla propria questione nazionale, il PKK e i suoi alleati costituiscono una minaccia mortale all’integrità dello Stato turco e allo status quo in tutta la regione, proprio perché hanno prodotto una formula che riesce a parlare alle altre minoranze etniche, alle donne, ai lavoratori, e che punta a sovvertire le strutture di potere dalle fondamenta.

L’operazione “ramoscello d’ulivo” lanciata da turchi e milizie islamiste contro Afrin è arrivata in un momento critico, in cui dopo la liberazione di Raqqa da parte curda si era aperto uno spiraglio su una possibile soluzione politica al conflitto siriano. Ancora l’intervento dell’imperialismo Turco rischia di portare nuovo caos nella zona, e forse anche in Occidente, rivitalizzando il jihadismo prematuramente dato per morto e sepolto.

Come è possibile che Erdogan e la Turchia abbiano la mano così libera, da potersi permettere lo sconfinamento armato in Siria in aperta ostilità con tutte le altre forze in campo? Erdogan è riuscito a superare brillantemente un periodo di fragilità sul fronte interno e turbolenze sul fronte estero, e a trasformare una guerra persa inuna guerra ancora da combattere rendendosi un partner indispensabile per tutti gli attori in campo. Il deterioramento della democrazia turca, che oramai sembra irreversibile, non ha impedito al Sultano di intensificare i rapporti diplomatici con l’occidente, ed in particolare con l’Unione Europea, che finanzia generosamente la Turchia per arginare il flusso dei migranti. Ossigeno puro per le finanze turche, perennemente in affanno, che da Bruxelles passando per Ankara finisce ad alimentare l’enorme apparato di guerra che Erdogan ha messo in movimento. L’infame accordo sui migranti è stato fortissimamente voluto dalla Germania della Merkel, che temeva la portata destabilizzante delle migrazioni sul protettissimo eden tedesco. Dal canto loro gli USA, grandi sconfitti del conflitto siriano e più deboli che mai nella regione, non possono fare a meno della Turchia giocatore pivot della NATO in medio oriente, per tenere sotto tiro i numerosi rivali, Iran in particolare. Anche qui l’ambivalenza del rapporto è intensa, sia per il sostegno dato dagli Stati Uniti al Rojava durante la guerra a Daesh, ma anche per la scomoda presenza del nemico pubblico turco numero uno Gulen in territorio americano. La situazione corrente e la brutalità della Realpolitik USA a firma Trump lascia però poche illusioni sulle possibilità di una vera rottura della “strana coppia”.

Per un simile ordine di ragioni di stato Russia di Putin ha di buon grado dimenticato l’incidente aereo del novembre 2015 e l’assassinio del proprio ambasciatore in Turchia, per avvicinarsi ad un potenziale partner irrequieto, ma fondamentale per gli equilibri strategici della regione e per rompere l’isolamento diplomatico in cui il paese sta progressivamente scivolando.

L’Italia ha bisogno di un discorso a parte. Erdogan è stato ricevuto poco tempo fa dalle massime autorità dello Stato e persino dal Papa “de sinistra” Bergoglio.

L’Italia in questa partita gioca il ruolo di alleato atlantico ben disciplinato, senza rinunciare a difendere i propri interessi economici nella produzione e vendita di armamenti in definitiva destinati proprio alla macelleria siriana. Leonardo, Finmeccanica e aziende associate hanno trovato in Erdogan un cliente affezionato: non si dovrebbe mai dimenticare che le strade di Afrin sono state insanguinate anche grazie agli elicotteri Mangusta di produzione italiana, che la marina turca giusto l’anno scorso si esercitava nel porto di Cagliari.

La lotta curda ci ispira con la parola e l’esempio idee, spazi e pratiche nuove, ma allo stesso tempo ci affida anche un ruolo importante come italiani ed europei: abbiamo il compito di esporre le pesantissime responsabilità dei nostri governi, di opporci ai tentativi di oscurare e silenziare il conflitto siriano e di anestetizzare l’opinione pubblica rispetto al tema della guerra in Rojava.

Da parte nostra siamo certi che i compagni non molleranno un metro ad Afrin, lottando con più forza ancora nell’ora più buia. In particolare salutiamo i combattenti internazionalisti a cui indirizziamo la nostra stima immensa e vogliamo mandare anche l’augurio di riportare a casa la pelle, insieme alla vittoria.

Per noi, per chi resta, è indispensabile rilanciare sulla mobilitazione contro NATO e UE, complici dello stragista Erdogan; dobbiamo scagliarci contro chi ha avvallato tutto questo, con i complici più o meno diretti della Turchia, che devono pagare le loro responsabilità per i crimini contro l’umanità di cui si stanno macchiando. Rilanciamo tutte le iniziative di mobilitazione in solidarietà con il Kurdistan, con la consapevolezza di quale sia il nostro ruolo in tutto questo e che la lotta dei kurdi ci riguarda direttamente.