La sostenibilità istituzionale della retorica neofascista

A Siena si discute oramai da quasi nove mesi di un regolamento comunale contro la concessione degli spazi pubblici ai gruppi razzisti e neofascisti, sulla falsariga di diverse amministrazioni italiane. Con tutti i limiti del caso, la proposta rappresenterebbe comunque un punto simbolico e un avanzamento rispetto allo stato attuale delle cose. Oggi viviamo in un nebuloso limbo di semi-legittimazione che di fatto finisce per tutelare  e coltivare i gruppi neofascisti. La proposta a Siena nasce dal basso e prende piede, ma ancora non si vede una luce alla fine del tunnel: il percorso suggerito da Rete Antifascista e Anpi si è bloccato in un marasma burocratico, fatto di omertà e rimandi continui. L’ultimo atto è andato in scena ieri nel consiglio comunale, con l’ennesimo rinvio della votazione, a causa delle numerose assenze che hanno decimato la maggioranza. A questi personaggi interessa veramente combattere il neofascismo?

Da parte nostra continuiamo a sostenere la centralità dell’antifascismo militante, di strada, e non ci siamo mai fatti illusioni sulla portata concreta di una misura come questa; ma al di là della fiducia nei meccanismi e nei riferimenti istituzionali ciò che non abbiamo è la pazienza di aspettare i comodi di chi probabilmente non ha nessun interesse a combattere il neofascismo. Se l’amministrazione non si assume una responsabilità politica precisa siamo convinti che Siena darà una risposta di popolo e di movimento.

I fascisti son tornati, ormai da un po’ di tempo, e sono più ridicoli che mai. I buffoneschi successori del duce, i post-nostalgici del ventennio mischiano retoriche e pratiche estremistiche con il tentativo di darsi un tono da bravi ragazzi e un’immagine istituzionalmente accettabile. Confrontandoci con compagni di territori differenti capita decisamente troppo spesso di vedere come nelle nostre città si stia rafforzando una versione particolarmente malata della destra nazionalista e razzista. In alcune di queste realtà prendendo decisamente piede arrivando perfino ad occupare dei posti in consiglio comunale. Purtroppo prendiamo atto di come i tentativi delle amministrazioni centro-sinistra di arginarli, (quando ci sono), si risolvano in dei clamorosi nulla di fatto.

È innegabile che chi regge le sorti del governo di questo paese al giorno d’oggi stia cullando una specie di strano sogno, che passa direttamente dalla legittimazione di forze neofasciste. il Pd di Renzi-Minniti-Gentiloni sembra avere tutto l’interesse a non ostacolare questi rigurgiti sempre più allarmanti, che possono all’occorrenza essere messi a valore come ala estrema di una forza di opposizione ancora meno credibile e rassicurante del Governo in carica. Ma più in generale, nella società civile di cultura ‘progressista’ sembra dominare l’inerzia, la passività, una diffusa incapacità di connettere il fenomeno del neofascismo a dinamiche più complesse e generali: la disgregazione e la corruzione del tessuto sociale, la crescente insicurezza economica, l’affermarsi di discorsi e culture autoritarie e intolleranti a tutti i livelli e in tutti gli ambienti, anche quelli più impensabili. “La democrazia muore nel buio”, e l’oscurità che è scesa sui sottomondi neofascisti ha permesso loro di espandersi e rafforzarsi. Quando, di rado, un giornalista o un politico si approccia al tema, lo fa attraverso categorie e narrazioni fuorvianti o semplicemente false; il dogma artificioso dell’equidistanza democratica tra fascismi e comunismi negli ultimi cinquant’anni ha avvelenato lo sguardo sul mondo di tanti. Chiunque si prendesse la briga di esplorare gli ambienti del movimento, del sindacalismo e delle lotte sociali si convincerebbe immediatamente del contrario, tanto che la confutazione di questa favola non si rende necessaria. Eppure, anni di questa retorica sono serviti come arma contro coloro che nelle lotte e nelle rivendicazioni dal basso hanno trovato il proprio campo politico, mentre ha ben poco toccato i portatori di retoriche nazionaliste italianiste e di razzismo neoimperialista.

Il fascismo, sia nella sua forma storica che nelle sue espressioni più recenti, ha insita dentro di sé quell’idea imperialista che è diretta emanazione degli interessi del capitalismo nazionale, così come la matrice corporativista e anti sociale rimane centrale nei gruppuscoli di ultradestra contemporanei tanto quanto nei fasci di una volta. Oggi buona parte del mondo ride dietro le movenze, ultramachiste fino al ridicolo, di Mussolini durante i suoi altisonanti discorsi di piazza sporgendosi dal tristemente famoso balcone di palazzo Venezia sull’omonima piazza. Ma dobbiamo ricordare come dietro a quella facciata che oggi appare caricaturale e anacronistica ci sia stato un ventennio di repressione selvaggia, corporativismo filopadronale, suprematismo razzista e imperialista. Venti anni che dovrebbero restare indelebili nella nostra memoria collettiva, ma che qualcuno sta oramai cercando di sdoganare da tempo.Questi presunti difensori dell’interesse nazionale si nascondono dietro immagini contraddittorie, un sincretismo senza capo nè coda (nel pantheon dei fascisti oggi troviamo Che Guevara e Francisco Franco, Vittorio Emanuele e Giuseppe Mazzini, John Tolkien e Adolf Hitler…) che sembra ridicolo ad un osservatore attento ma che ricade nella logica del “pigliatuttismo” di cui i fascisti sono stati tra i primi sperimentatori. Che questi signorini con le camicette abbottonate strette, le barbette ben curate e i crani lucidi siano i migliori servi dei padroni è sotto lo sguardo di tutti.

Bisogna però chiudere il cerchio del ragionamento da cui siamo partiti: i neofascisti fanno gli interessi della borghesia nazionale italiana in tutto il suo becero straccionismo; l’interesse della media impresa reazionaria del centro-nord e dei latifondisti al sud, che puntano ad ottenere manodopera migrante ricattabile, ma anche del grande capitale neoliberista ed europeista.

Come fanno? Il ragionamento è piuttosto semplice se si da il giusto peso politico alla posizione in cui ci troviamo adesso nello scacchiere europeo, in un contesto di ordo-liberismo interpretato come ontologia legittima e unica della costruzione europea. In questo modo possiamo capire come la premiata ditta europeista non abbia interesse a combattere con questo ributtante neofascismo, al contrario di chi dalla nostra parte li critica nel merito e riesce a svelare tutta la falsità delle loro asserzioni liberiste. Costoro si scaglierebbero contro l’UE in nome di un fumoso concetto di sovranità nazionale. Sono la loro migliore opposizione, gli impresentabili da mettere in luce come principali antagonisti della costruzione europea. Hanno, per ora, gioco facile in questo circolo vizioso che autoalimenta gli interessi i entrambi.

Molti di noi sono esausti dalla continua legittimazione da parte di istituzioni e giornalisti di questi personaggi, a cominciare dalle passerelle fatte da Mentana e compagnia a Casapound. Di certo non è il guru in doppio petto dei giornalisti di La7 che rischia una testata, come quella che si è preso il suo collega meno famoso ad Ostia; d’altro canto probabilmente una bella zuccata da chi in questi anni ha subito le minacce, le vessazioni e i pestaggi Mentana se la meriterebbe eccome!

L’atteggiamento di indignazione a targhe alterne dei media mainstream, che da una parte elevano ad interlocutori le forze neofasciste e danno loro visibilità, salvo poi gridare al “fascista cattivo” quando Forza Nuova contesta il gruppo L’Espresso, è un elemento chiave per capire il fenomeno.

Continuando con questo atteggiamento pseudo democratico, non si fa altro che dare il fianco a chi democratico non lo è per nulla e non lo sarà mai: siamo di fronte ad un gioco liberale che mette con le spalle al muro le lotte sociali su due diversi versanti, da una parte si avanza a colpi di repressione e manganellate, dall’altra si legittimano gli “impresentabili” per dare la parvenza di un’apertura de gioco stesso verso l’esterno. Ma la democrazia liberale non è certo un sistema aperto, è classista e schiavo allo stesso modo delle lobby degli industrialotti e delle mega corporations internazionali!

Che questo gioco arrivi presto al collasso e che i nostri padroncini “democratici” si trovino a dover affrontare seriamente chi hanno foraggiato fino ad ora? Di certo una cosa del genere non può accadere, almeno finché al capitalismo non converrà abbattere tutte le parvenze di democrazia e resuscitare il corporativismo fascista come strumento unico di lotta contro gli sfruttati.

Una prospettiva del genere non deve essere rassicurante, ma deve farci capire che la lotta è una sola: contro i fascisti come contro i padroni non possiamo permetterci di mollare un solo passo.