Braccia o persone? Categorie neoimperialiste del discorso sui migranti – pt. 2

i migranti del centro di accoglienza di Cona in marcia per la dignità

Nella prima parte del nostro percorso abbiamo cercato di risalire alla natura dei meccanismi di disciplinamento dei migranti, attraverso la categoria dell’oggettivazione. La costruzione del dibattito pubblico ruota attorno alla concezione dei migranti come res, massa passiva e deresponsabilizzata che non è in grado o non vuole esprimere alcuna iniziativa ma, nel migliore dei casi, solo qualche forma di resistenza inerziale. Questa costruzione è funzionale alla repressione di quei migranti che invece adottano forme organizzate di lotta per migliorare le proprie condizioni materiali.

In questa seconda parte proviamo a tratteggiare quali sono le tendenze economiche che dominano e motivano questa dinamica nel campo della coscienza; perché le società a capitalismo avanzato hanno bisogno di ‘accogliere’ e disciplinare forza lavoro ricattabile; come questo disciplinamento prenda corpo grazie alla legislazione e le relazioni di potere all’interno dei luoghi di lavoro.

Nella storia troviamo esempi lampanti di questo atteggiamento, che ci fanno rendere conto si quanto la logica imperialista latente abbia di fatto sempre governato i ragionamenti dei governi soprattutto europei: questi hanno pensato che i processi migratori fossero semplicemente regolabili come un circuito elettrico, da aprire e chiudere a seconda della necessità come con un interruttore. Quindi “on” quando il complesso produttivo ed industriale ha bisogno di una rimpolpata di braccia, magari di lavoratori “poco sindacalizzati”, ricattabili insomma. “Off” non appena questi diventano un problema, senza tenere in nessun conto le aspirazioni, i desideri e i progetti di vita delle persone coinvolte.

È successo nella Germania federale, bisognosa di forza lavoro per schiacciare anche in termini simbolici il suo rivale democratico, il messaggio sarebbe arrivato anche di la del muro: venite in Germania ovest, c’è posto per tutti! Così cominciano ad arrivare i primi gastarbeiter dall’Anatolia, migliaia di lavoratori turchi e curdi arrivano in Germania e danno la spinta per il grande boom economico dell’industria. Poi ci fu la crisi petrolifera del 73, l’industria tedesca crolla in produttività; nella testa dei governanti tedeschi i turchi erano di troppo, se ne sarebbero dovuti tornare a casa loro: non c’è più lavoro!

Qui sta il grande errore e la malafede dei governi occidentali. Immaginatevi di essere in Germania da un paio di anni, di aver investito energie e capitali per arrivarci, magari soldi prestati da uno zio; tutti a casa si aspettano che tu abbia successo, che questo possa aiutare anche il loro investimento collettivo. Ma invece in Germania ti dicono che non c’è più nulla per te, devi tornare a mani vuote. Non si può tornare! Nella sorpresa dei governanti tedeschi, tutti presi nella logica dei costi e benefici dell’immigrazione, migliaia di gastarbeiter decidono di rimanere. Ad oggi sono una presenza stabile, hanno aperto attività, messo su famiglia, fatto figli cresciuti in Germania e tedeschi sotto tanti punti di vista, non ultimo il passaporto. Così nascono le banlieues in Francia, i ghetti nel sud Italia e che si fomenta il razzismo degli “autoctoni” contro il nemico immaginario che sono i migranti: seguendo il ragionamento di costi e benefici.

Non può sfuggire la forte connotazione liberale in questo pensare la migrazione da parte delle potenze europee, in termini analitici il ragionamento che fanno è piuttosto semplice. Non dobbiamo mai dimenticarci che le grandi democrazie europee sono governate da governi spesso espressione diretta degli interessi di industriali e capi d’azienda, o comunque non in contraddizione con gli stessi. La migrazione è dovuta senza dubbio ad un disagio creato la dai grandi interessi del capitale internazionale: dal vero e proprio neocolonialismo economico o da guerre sempre avviate in nome degli interessi dei governi occidentali, il petrolio è solo la motivazione più lampante! Si crea così una sovrappopolazione relativa di forza lavoro che va a costituire quel vero e proprio esercito di riserva di manodopera da tenere sotto scacco e sotto ricatto continuo, magari legando il loro permesso di soggiorno con il contratto di lavoro e colpevolizzandoli della loro stessa condizione. Così il capitale nazionale ha gioco facile ad abbassare i costi del lavoro, a mettere in dubbio le conquiste sindacali, ad accelerare nel processo di precarizzazione del lavoro. Se poi ci sono forze politiche palesemente in malafede, esplicitamente fasciste e razziste, che fanno della lotta tra poveri il loro cavallo di battaglia e traggono legittimità da questo circolo vizioso, il gioco è fatto: il capitalismo moderno ha in mano un’arma potentissima contro tutti i soggetti subalterni.

È evidente empiricamente come il sistema capitalistico italiano adotti questo tipo di atteggiamento verso la forza lavoro immigrata, come bacino di utenza da cui pescare per rifornire quelli che sono i settori a forte intensità di lavoro e di conseguenza a bassa qualifica e specializzazione.

Osservando i dati Istat sui tassi d’occupazione nell’ultimo decennio si nota infatti come in un periodo di crisi del ciclo produttivo la componente immigrata sia stata quella più danneggiata, avendo subito un calo complessivo che sfiora l’8%(tab 1), calo che invece non ha colpito in queste proporzioni i lavoratori autoctoni il cui tasso di occupazione è calato solo dell’1%(tab 2) nel medesimo periodo. All’interno dei dati aggregati è senz’altro importante fare un’analisi più acuta osservando al calo dell’occupazione maschile che per gli stranieri ha quasi raggiunto il 13%, mentre per gli italiani circa il 4% è evidente qui che il crollo dell’impiego di manodopera non italiana sia collegata al forte crisi del settore delle costruzioni che a partire dal 2007 ha fatto un calo occupazionale maschile superiore al mezzo milione(tab 3).

tabella 1 fonte istat

tabella 2 fonte istat

tabella 3 fonte istat

La segregazione della manodopera in settori economici più sensibili alle oscillazioni del ciclo produttivo è funzionale a mantenere i lavoratori stranieri in una posizione di esclusione dalla reale possibilità di ascesa sociale.

Tale emarginazione risulta evidente anche dai differenziali salariali per titolo di studio(tab 4), è impressionante il fatto che circa il 73% dei diplomati comunitari e l’80% di quelli extra-ue siano relegati a stipendi al di sotto dei 1200€, percentuale che per i diplomati italiani si abbassa al 41.5%.

Ma forse ancora più drammatico è quello che emerge dai laureati extracomunitari, dei quali ben il 73% arriva a guadagnare meno di 1200€.

tabella 4 fonte istat

Non è un caso infatti ritrovare diplomati e laureati africani emigrare durante l’estate dalle università del Nord, per pagarsi gli studi lavorando i campi di pomodoro del meridione.

È infatti lì che si nasconde la faccia più bestiale dell’imprenditoria italiana nei confronti dell’immigrazione, quella del settore agro-industriale.

La produzione agricola italiana, in particolare quella meridionale è una delle componenti dell’export nazionale che sfocia soprattutto nei mercati dell’europa comunitaria.

In un’ottica di concorrenza internazionale, in un mercato unico come quello dell’eurozona, in un settore prettamente “labour intensive”, è possibile creare grani vantaggi competitivi solo andando a ritoccare la maggiore componente del prezzo, ovvero il costo del lavoro. Da qui tutto l’interesse delle grandi catene di distribuzione internazionale, nel mantenere bassa la remunerazione di tale fattore produttivo. In una logica oligopolistica, dove i prezzi son fissati da grossi colossi dell’esportazione, anche i grossisti fanno ricadere tale imposizioni sulle piccole imprese produttrici, i quali spesso e volentieri si affidano ad agenzie di somministrazione fittizie o ad organizzazioni criminali per l’intermediazione illecita di manodopera: il caporalato.

Ma il capitale e chi ne fa le veci, come i caporali, si occupano anche della ghettizzazione fisica dei lavoratori stranieri, stipati per la maggior parte in ghetti, come quelli del foggiano, a Nardò o a Terracina. Oppure strizzati sistematicamente in sovrannumero in appartamenti, ma fuori da dagl’occhi della gente comune, come sul monte amiata, dispersi tra rocche di provincia e ben lontani da qualsiasi possibile integrazione con il tessuto sociale locale: perchè per il capitale è fondamentale dividere i suoi sfruttati.

I compagni immigrati non sono solo costretti a vivere un emarginazione fisica, ma son costretti anche alla costante ricattabilità da parte di una legge fascista come la bossi-fini, che lega a doppio filo il permesso di soggiorno a quella di un contratto lavorativo, una pratica criminale che incentiva solamente l’irregolarità del lavoro straniero. È evidente come il capitale italiano ed europeo abbia solamente l’intenzione di creare complementarietà tra i lavoratori comunitari e non, andando a selezionare i primi e facilitando la mobilità dei secondi, carne da macello del tritacarne del mercato internazionale.

In Italia tutte le leggi risultano peggiorative e le politiche sull’immigrazione completamente sbilanciate a favore dei grandi industriali, chissà perché quelli che se ne avvantaggiano di più sono proprio gli impresari del nord est. È proprio nel fortino della lega nord infatti che il maggior numero di lavoratori stranieri si trova sotto il continuo ricatto dei datori di lavoro; con la Bossi Fini il processo diventa vertiginoso, aumentano i migranti senza documenti e il permesso di soggiorno diventa un sogno per molti, vincolato al contratto di lavoro e all’abitazione. Ricatti su ricatti si arriva all’odierno Minniti e alle politiche della paura messe in campo dal governo Gentiloni, grazie allo spauracchio del terrorismo. Vediamo come all’esercito di riserva si attinga a seconda delle necessità, non è una massa di disoccupati marginalizzata ma viene invece creata ad arte tramite l’espulsione degli stessi dal lavoro in momenti di congiuntura negativa. Sostenuti da un simile dispositivo, per i padroni è come stampare soldi falsi!

Nel corso degli anni ci sono stati segnali altalenanti da parte di chi si schiera, o dovrebbe schierarsi, a fianco degli sfruttati e dei diseredati. Il mondo sindacale, ad esempio, ha due opzioni in materia: o chiede la chiusura delle frontiere per non mettere in dubbio le proprie conquiste, alimentando una logica malata da aristocrazia operaia, oppure chiede che il trattamento dei lavoratori sia lo stesso portando alla luce le contraddizioni insite al sistema. Per quanto i sindacati confederali abbiano tentato di interessarsi al tema l’adesione dei migranti agli stessi e la loro partecipazione ci è puramente cosmetica: un modo per vivacchiare sugli allori della propria burocrazia e continuare il proprio lavoro di concertazione al ribasso per non estinguersi.

Un impulso differente è invece da riconoscere a sindacati di base e movimenti per la casa: questi sono stati gli unici soggetti politici che in Italia hanno lavorato non solo sui migranti ma insieme ad essi, riuscendo a rappresentare finalmente nella società quei soggetti muti da troppi anni, inserendo le loro aspirazioni e i loro progetti di vita in un’ottica di classe.

Le migrazioni nel mondo odierno sono il fenomeno migliore tramite il quale si possono mettere in luce le contraddizioni della società, scioglierle in una visione del futuro egualitarista contraria a quella della logica della lotta tra poveri e della società classista in cui viviamo. La forza anti sistema dei migranti non deve essere dissipata, le loro traiettorie di vita si intersecando per forza di cose con quelle degli sfruttati nei paesi di arrivo e qui dobbiamo metterci nelle condizioni di lottare insieme contro le discriminazioni, che sono sia razziste che classiste