Ciclo di incontri in alcuni atenei italiani
Nel clima di campagna elettorale che stiamo vivendo in questi mesi ci sentiamo sollecitati con allettanti promesse dai politici dei più diversi partiti che cercano di pescare voti anche fra i giovani, preoccupati dall’astensionismo previsto molto elevato: dalla presunta sinistra che promette addirittura la totale abolizione delle tasse universitarie, fino all’estrema destra che, utilizzando la retorica individualista della meritocrazia, promette più borse di studio per i più meritevoli.
Ma possiamo noi credere alle promesse di chi è complice se non diretto responsabile di quelle politiche che hanno devastato la vita e le prospettive dei giovani, studenti e lavoratori? Negli ultimi anni, infatti, abbiamo subito politiche fondate sulla precarizzazione del lavoro e sulla devastazione dell’istruzione universitaria. Ma anche quella secondaria non è rimasta esclusa dalla mannaia: senza bisogno di andare troppo lontano nel tempo, basti pensare all’inserimento di una nuova forma di sfruttamento che codifica il lavoro gratuito, l’Alternanza Scuola Lavoro.
Le riforme dell’istruzione che dagli anni novanta sono state portate avanti dai governi italiani sia di centro destra che di centro sinistra, in piena coerenza con i piani europei riguardanti il settore (in primis il Bologna Process), hanno condotto il sistema formativo verso un’aziendalizzazione e un’elitarizzazione sempre maggiore e l’hanno reso supino alle logiche competitive del mercato europeo e globale.
Sul piano universitario, se con la riforma Ruperti del 1990 si sanciva l’entrata nella formazione di soggetti privati che anteponeva alla libera ricerca l’obiettivo del profitto, con la successiva riforma Zecchino-Beringuer, introducendo l’autonomia degli atenei dal controllo del MIUR e il 3+2, si esplicitava l’importanza dell’università imprenditoriale capace di reggere una competizione serrata con gli altri atenei. Ma dobbiamo aspettare l’inizio degli anni 2000 e la riforma Moratti e poi Gelmini per assistere alla precarizzazione dei ricercatori e alla drastica riduzione dei contratti a tempo indeterminato, all’introduzione dell’ANVUR e alla pesante riduzione del finanziamento pubblico all’istruzione, in ottemperanza tagli al welfare state implicati dalle riforme di austerity dettate dall’Unione Europea a fronte della crisi economica.
In una realtà che vede una diminuzione di laureati e di immatricolati, la disoccupazione giovanile al 40% e la fuga di cervelli: qual è il vero risultato di queste politiche al di là della propaganda ideologica della concorrenza sfrenata di uno contro tutti, della “flessibilità” e dell’autoimprenditorialità? Alla luce di queste riforme che hanno ampliato le disuguaglianze sociali e la differenza fra pochi atenei di serie A per chi se li può permettere e molti atenei di serie B per tutti gli altri, possiamo credere alle ruffianate elettorali pubblicate in prima pagina sui giornali? In questa campagna elettorale possiamo trovare una forza coerente che merita l’appoggio dei giovani studenti e lavoratori stanchi di vedersi negare le prospettive per un futuro dignitoso?
Stufi delle false promesse propinate nelle arene televisive, in cui un presunto principio di imparzialità viene strumentalmente utilizzato per mettere a confronto i soliti noti come in un duello tra polli da batteria, vogliamo essere noi a confrontarci per scegliere come e a chi dare ascolto per iniziare a costruire una vera alternativa a quelle politiche che hanno fatto della nostra generazione la working poor generation.